mercoledì 7 maggio 2008

6° Biblico: Cantico dei Cantici

Appunti dell'incontro del 7/03/2008
con don Cesare Pagazzi

Cantico dei cantici, capitolo 8 (da Ct 8,4 alla fine)



Al versetto 5 del canto ottavo incontriamo queste parole: "Chi è colei che sale dal deserto, appoggiata al suo diletto?”, simili a quelle di 3,6: "Che cos'è che sale dal deserto come un colonna di fumo (...) ?".

Il ripetere, alla fine di una composizione, una parola o una frase simile a una detta all'inizio è stratagemma tipico della poesia semitica (e non solo). Si tratta della cosiddetta inclusione, il cui scopo è quello di segnalare il termine di un' unità letteraria.

Le canzoni lette finora si aprono e si chiudono con questa inclusione: la salita e il deserto. Salire è il verbo tecnico dell'Esodo, infatti, si sale dall'Egitto alla Terra Promessa, che è geograficamente posizionata più in alto. Si traduce abitualmente "uscire" dall'Egitto, ma la resa più appropriata sarebbe salire, che è anche il termine con cui si allude a Gerusalemme. Salire, quindi, all'ebreo ricorda l'uscita dall'Egitto (cioè, la fuga dalla schiavitù) e il pellegrinaggio verso Gerusalemme. Con lo stesso verbo si apre e chiude il Cantico dei Cantici - la relazione amorosa tra uomo e donna è infatti vista come una sorta di pellegrinaggio alla Terra Promessa. Salire ci riporta anche al “quadernetto” del cantico delle ascensioni, facente parte del Salterio, cioè il libro dei 150 salmi. Gli studiosi ipotizzano che questa raccolta di salmi sia suddivisibile in 5 libri o comunque in gruppetti di canzoni. Tra i vari gruppetti possiamo appunto individuare quello dei salmi delle ascensioni (dal salmo 120 al 134), che i pellegrini cantavano prima di arrivare a Gerusalemme. Ci viene qui fornita una specie di mappatura delle relazioni, dove si ripercorrono i diversi sentimenti che le caratterizzano: fatica, preoccupazione, gioia, piacere, ecc.

Ad esempio, il salmo 120 recita: "Nella mia angoscia ho gridato al Signore, egli mi ha risposto"- si invoca, cioè, il Signore perché dia sostegno alla relazione.
Oppure, salmo 121: " Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l'aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore, che ha fatto cielo e terra.”
Salmo 122: "Quale gioia, quando mi dissero - Andremo alla casa del Signore! - E ora i nostri piedi si fermano alle tue porte, Gerusalemme!"
Salmo 123: "A te levo i miei occhi, a te che abiti nei cieli. Ecco, come gli occhi dei servi alla mano dei loro padroni.”
Salmo 124: " (...) se il Signore non fosse stato con noi, quando gli uomini ci assalirono, ci avrebbero inghiottiti vivi, nel furore della loro ira." - Come a dire che a volte una relazione può essere salvata da un miracolo che non dipende né dalle proprie forze né da quelle dell'altra persona.

Le canzoni spesso terminano con il sonno dell'amato o dell'amata, qui, però, alla fine del canto ottavo e di tutto il canzoniere, lo sposo sveglia la sua donna e rivela che tutti i sonni sono stati fatti sotto una pianta di mele, dove la ragazza è stata concepita e partorita. Il mistero del concepimento e del parto vengono indissolubilmente legati al mistero della relazione tra uomo e donna, non solo come il frutto della relazione stessa, ma anche come se tale unione portasse a concepire e partorire l'altra persona.

Dopo lo sposo è la sposa a parlare: "Mettimi come sigillo sul tuo cuore, mettimi come sigillo sul tuo braccio". Il sigillo veniva portato come collana o anello. La donna, già in precedenza, aveva detto che l'uomo era per lei un ciondolo fra i seni; infatti, usava legare al collo un piccolo sacchetto pieno di essenze. Quindi, ora, in cambio, chiede all'uomo di essere portata come suo sigillo/ collana o sigillo/ anello al dito (si verifica qui il contrario della sineddoche: il tutto per indica una parte, cioè, il braccio per indicare la mano). La donna vuole essere un sigillo per il suo uomo, perché il sigillo identifica chi lo porta (segnalandone l'appartenenza), conferisce autorità, è costantemente attaccato al corpo (così la sposa vuole essere costantemente vicino al suo sposo), dura per tutta la vita e, in quanto gioiello, ha molto valore (così ne vuole aver molto la donna per il suo uomo). Il sigillo è anche segno di chiusura e completezza (così la donna vuole essere una presenza che chiuda e completi il cuore dell'uomo).

Tra le parole della fidanzata, sono dette anche quelle forse più preziose di tutta la composizione, attorno alle quali è costruito il Cantico: "L'amore è forte come la morte".
L'amore, infatti, ha un che di ineluttabile come la morte. Gesù dice: “Io vengo come un ladro” - così l'amore è un ladro: ci ruba a una situazione di equilibrio e sicurezza e abbatte, prima o poi, spesso con mezzi inaspettati, le barriere che possiamo costruire per contenerlo. Ugualmente, la morte arriva senza preavviso, distruggendo le nostre difese. L'amore è simile alla morte anche perché non ci lascia più come prima e, a ben guardare, proprio nel momento in cui ci promuove e conferma, ci abbatte. Si potrebbe dire che nell'amore c'è una forte componente mortale. Il Cantico dei Cantici è teso a segnalarci questo pericolo insito e nascosto nell'amore, foriero (anche) di morte.

La raccolta finisce con il canto ottavo, al versetto 7. Dal versetto 8 cominciano due canzoni, probabilmente non originarie. La prima è breve e conclusa. In essa si sottolinea il valore inestimabile dell'amore e la sua forza dirompente. La seconda, invece, non è conclusa. In essa, di nuovo torna il tema polisemico della vigna.
Non sappiamo i veri motivi di queste aggiunte posticce né della loro incompiutezza. Evidente è comunque l'intento di riprendere o emulare motivi già incontrati in canzoni precedenti. Interessante è che Il Cantico dei Cantici, non finito, si collochi in mezzo a due libri perfettamente finiti e dove tutti i conti tornano (Qoelet e Sapienza).
Per tale mancanza di completezza, si potrebbe cadere nella tentazione di sottovalutare il Cantico. In realtà forse il suo fascino e la sua particolarità scaturiscono proprio da questa mancanza.

Angelika Ratzinger

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