mercoledì 11 novembre 2009

2° Biblico: Qoélet, capitoli 1-2


Appunti dell'incontro biblico del 23/10/2009

con don Cesare Pagazzi




"La livella", splendida poesia di Totò che ricorda a tutti come la morte spiani le differenze tra gli uomini: questo pensiero colpisce profondamente il sapiente Qoélet.




Qohelet 1,12-2,19

Nel primo capitolo Qohelet si interroga su chi sia l’uomo, riprendendo in maniera tagliente la domanda del Salmo 8 (“che cosa è l’uomo perché te ne curi?”). Qoélet trasforma la domanda nella ben più prosaica “ma l’uomo che cosa ci guadagna?” e finisce per rispondere che non ci guadagna nulla (“vanità delle vanità”).

Prima di giungere a questa risposta Qoélet narra una “biografia regale”.

Dichiara di essere stato re d’Israele molto tempo prima (ma in realtà lo deve essere anche al momento della narrazione, perché in Israele non esisteva l’abdicazione, quindi è un re che dice di non esserlo più).

Dice di aver voluto studiare tutto ciò che c’era nel mondo e di aver avuto tutto ciò che voleva.

Dichiara di aver cercato la sapienza, ossia l’arte di saper vivere bene nel mondo in ogni situazione. La sapienza è il dono più prezioso e quello che Salomone aveva chiesto come dono a Dio, ma Qoélet non la chiede, ma pretende narcisisticamente di essere in grado di cercarla e trovarla. Egli, proprio perché la cerca, la considera come un tesoro che, una volta scovato, potrà tenere per sé. Conclude che anche questo è vanità (ma non è specificato se la sapienza in sé o il tentativo di trovarla.)

Qoélet ha voluto conoscere anche la follia, cioè il contrario della sapienza: Qoélet sa che quando un uomo è convinto di sapere rischia di seppellirsi con questa sua certezza. Qoélet quindi vuole “mettersi nei panni del folle” pur restando sapiente.

Il sapiente è in grado di provare empatia, è felice di quello che è, ma è in grado di guardarsi con gli occhi degli altri.
Da sano vuole vedere se “saprebbe vivere” in quelle condizioni, prova quindi con piaceri del vino, per concludere che tutto è vanità.
“Cambio”=> capisce che tutto questo è vanità, allora passa dal pensiero finissimo al “fare”.
Cerca comunque di essere “il più”. Guadagna e possiede (stessa radice etimologica di Caino), ma decide che anche questo è vanità (radice etimologica di Abele). Anche Caino è Abele.
Poi si trova a chiedersi “che cosa farà il suo successore?”
Questa domanda distrugge tutte le sue sicurezze: se c’è un successore significa che lui un giorno non ci sarà più. Si rende conto che un’unica sorte (la morte) è destinata sia al saggio che allo stolto ed è annientato dalla consapevolezza che tutti i suoi sforzi per essere “il più” grande, potente, sapiente son vani: a morte elimina ogni speranza di singolarità.

Entra quindi in crisi: dato che la morte lo parifica e lui non ha più la speranza di distinguersi da tutti gli altri egli “prende in odio la vita”, dichiara che “la vita fa schifo” e non ha più voglia di fare nulla. => storia di depressione!


La depressione


La depressione può avere tante origini, anche di tipo organico, ma la depressione che attraversa Qoélet è quella di un narcisista deluso da sé: era sempre stato all’altezza delle sue aspettative, aveva un’immagine ipertrofica e mancava del senso della realtà di sé. La morte e la prospettiva di non potersi distinguere lo costringono a ammettere che non può essere sempre all’altezza della sua immagine e che quindi esiste una possibilità di “sbaglio”: questo lo porta alla depressione, difatti egli arriva a disprezzare il mondo “la vita fa schifo” (la volpe e l’uva) e a dichiarare che “a lui non interessa”, che lui non ha bisogni.

La sua depressione lo porta però alla salvezza e al senso della realtà: dopo aver riconosciuto che non può essere “sempre all’altezza di sé” Qoélet non cerca nuovamente un antidepressivo nell’iperattivismo o nella sapienza.

Alessandra Grossi

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