martedì 11 maggio 2010

4° Teologico: L'accidia, disaffezione che mangia la vita

Appunti dell'incontro teologico
con don Cesare Pagazzi


"Melancholia" di Dürer


L'accidia, disaffezione che mangia la vita


L'accidia è un vizio che a prima vista appare innocuo, quasi simpatico, che fa sorridere, ma che in realtà è tra i più pericolosi. Non a caso nei secoli gli insegnamenti sapienziali (vedi i libri sapienziali nella Bibbia) e la letteratura (vedi Dante) si sono fortemente scagliati contro questo peccato, che molto frequentemente è solo il cavallo di troia per invischiarsi in mali peggiori.

Un classico esempio è dato dall'episodio di Davide e Betsabea, che inizia così: "al tempo in cui i re vanno in guerra", Davide manda l'esercito a combattere ma rimane a casa. Questo comportamento pigro è innanzitutto una violazione del ruolo del re, che era anche capo militare, ma è anche causa scatenante di un dramma: Davide, annoiato, posa gli occhi su Betsabea, moglie di un suo generale che è al fronte a combattere, la desidera, la prende per sé e la rimanda a casa; naturalmente, lei rimane incinta. Il rischio è quindi che la donna, accusata di adulterio, sveli chi ha compiuto il misfatto, condannando Davide stesso; egli allora richiama il marito dal fronte per fare in modo che, avendo passato un periodo a casa, non ci siano dubbi circa la paternità del nascituro, ma il retto guerriero Urìa, ligio alle leggi, rifiuta di andare con la moglie in tempo di guerra. A Davide non resta che un estremo gesto, l'assassinio a distanza del suo fedele guerriero, così da poter sposare Betsabea legalmente.

Questo è il meccanismo dell'accidia, che irretisce con uno stato di non-interesse per niente, e fa' in modo che uno voglia essere da un'altra parte, a fare altro: questo scatena la noia, che invita a riempire il tempo con qualsiasi cosa - e qui entra in gioco il peccato successivo, che sembra venire a "liberare dalla noia", e supera le nostre barriere morali più facilmente.
La pigrizia s'ammanta di una tristezza soffusa, malinconica, ben diversa dalla contrizione del pentimento: ci si disaffeziona da tutto, non si prova interesse per niente, si rimandano o evitano le scelte, che comportano un certo ingaggio, giustificandosi con il classico "tanto è inutile". Questa mancanza di passione è in realtà sinonimo di mancanza di fede, che è speranza, fiducia, passione travolgente, e come tale viene denunciata fortemente dal Gesù dell'Apocalisse, che annuncia che i tiepidi e gli indecisi verranno vomitati da Dio - simile durezza appare anche in Dante, che agli ignavi toglie anche l'appartenenza all'inferno: non li vuole nessuno perché "mai furon vivi".

A conferma della spesso vera equivalenza degli opposti, è da notare che accidioso non è solo chi non vuole far niente, ma anche chi vuole fare tutto, non accontentandosi mai di niente e passando da un'esperienza all'altra, senza un senso, una direzione: anche questo tipo di comportamento equivale al non scegliere, non schierarsi, non appassionarsi, e si finisce con il rimpiazzare le relazioni con mille sensazioni ed esperienze che alla fine lasciano vuoti, esausti.

Tra i rimedi contro l'accidia ricordiamo la volontà e la temperanza. La prima è necessaria per vincere la disaffezione e la stanchezza malinconica: ci si dà una regola per agire anche quando non se ne ha voglia (quante volte ad esempio la preghiera si fa faticosa, e occorre decidere di pregare); la seconda è la sobrietà di vita che, rinunciando a divorare tutto, a ingollare la vita senza sentirne il sapore, permette di gustare sapientemente, e per questo appassionarsi.

Francesco Grossi

Nessun commento:

Posta un commento