lunedì 3 maggio 2010

Un'economia per l'Uomo: tesi congressuali

60° Congresso Nazionale FUCI
Piacenza, 22 – 25 aprile 2010
TESI CONGRESSUALI
Un’economia per l’uomo


Siamo in crisi
Stiamo vivendo la più grave e pericolosa crisi economico-finanziaria dopo quella del 1929, sia per estensione che per intensità. L’impatto sui lavoratori e sulle famiglie è assai rilevante, e si farà sentire ancora: perciò va affrontato seriamente. I motivi scatenanti della crisi vanno ricondotti soprattutto ad uno sviluppo eccessivamente basato sul debito e svincolatosi progressivamente dalle regole: una crescita effimera, senza fondamenta né basi solide su cui poggiare, non più legata all’economia reale né disciplinata da una qualche forma di etica. È stata privilegiata una forma di veduta corta, non corroborata da una progettualità di lungo periodo. La responsabilità degli attori economici ha lasciato spazio alla speculazione, al guadagno facile, all’arricchimento fraudolento, spesso mascherati da un’efficienza “di comodo” del mercato. Dietro alla crisi economica, dunque, si leggono i segni di una crisi etica e culturale, che riguarda le dinamiche profonde della nostra società.

Oltre l’homo oeconomicus
La crisi dell’attuale assetto economico dimostra il fallimento dell’antropologia che ne sta alla base. Ciò che doveva essere uno strumento – la proprietà, la ricchezza, la finanza – è divenuto principio e fine degli sforzi, misura unica e indiscussa delle azioni. Ecco l’homo oeconomicus, che ha fame solo di denaro e mira solo alla massimizzazione del proprio personale profitto. Ma dietro la brama di accumulare e di possedere non sta forse un vuoto di relazioni autentiche, la mancanza di una condivisione gioiosa, la paura di un futuro incerto? La povertà spirituale del mondo avanzato è l’altra faccia della medaglia delle scandalose ingiustizie che attanagliano il terzo e il quarto mondo.
Tornare ad interrogarsi sulla legittima aspettativa di felicità di chi vive nell’uno come nell’altro, significa porre la questione della qualità del nostro vivere, del rispetto che nelle nostre attività, nei nostri investimenti e nei nostri consumi abbiamo di noi stessi e degli altri.


Custodi di un dono
Bisogna pertanto ripensare l’economia, le sue regole, i suoi limiti, i suoi strumenti. Ripartire dalla persona deve essere la parola d’ordine. Persona è innanzi tutto relazionalità: ripartire da essa, quindi, significa superare l’isolamento individualistico e aprire la possibilità di un incontro autentico con gli altri, con il creato e con la Trascendenza. Il libro della Genesi (2,15) recita: «Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse». L'uomo è stato fatto per la felicità: il giardino simboleggia la condizione di armonia nella quale è posto l’uomo se rispetta il proprio limite e riconosce Dio come fondamento del proprio vivere, trattando la terra come dono da custodire e di cui avere cura. L’uomo ha il diritto-dovere di essere custode del creato, favorendone la crescita senza però distruggerlo o alienarlo.
Custodire allora diventa sinonimo di salvaguardare, senza svuotare di ricchezza e di senso ciò che è stato ricevuto in dono. L’uomo è libero, ma la sua libertà è anche vocazione alla responsabilità: gli è chiesto perciò di conoscere, amare e vivere il creato che gli è stato affidato. È una questione di giustizia intergenerazionale: dobbiamo «avvertire come dovere gravissimo quello di consegnare la terra alle nuove generazioni in uno stato tale che anch’esse possano degnamente abitarla e ulteriormente coltivarla» (CV n° 50).


Etica nell’economia
Se ci lasciamo orientare da questa prospettiva, emerge la pressante esigenza di recuperare anche nell’attività economica parole come fiducia, rispetto delle regole e solidarietà. «L’economia ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento; non di un’etica qualsiasi, bensì di un’etica amica della persona» (CV n° 45). L’etica non è soltanto un correttivo di alcuni aspetti dell’economia: essa deve assicurare un apporto decisivo e strutturale. Ogni rapporto personale ed economico, qualunque esso sia, ha infatti una ricaduta nell’ambito sociale. Le imprese vanno quindi incoraggiate ad allargare lo sguardo e a passare da una “responsabilità limitata” ad una “responsabilità sociale”, dove al centro ci siano anche gli interessi e i bisogni dei lavoratori. Un’economia di mercato innervata dei concetti di dono e di gratuità può trasformarsi nel tempo in una dirompente realtà. Un’economia di mercato pluralistica e regolata, al servizio dell’uomo e della sua dignità, è pertanto indispensabile per uscire dall’attuale situazione di crisi.


Nuovi stili di vita
Umanizzare l’economia è un compito arduo: ma se è vero che non basta un singolo elemento per modificare il sistema in cui è inserito, è anche vero che un micro-sistema, inteso come porzione seppur piccola del macro-sistema d'origine, può invece portare germi di cambiamento. Perciò, va superata la dicotomia tra individuo e Stato: bisogna piuttosto puntare sui corpi intermedi della società civile, su tutto ciò che si trova nel mezzo tra l’isolamento del singolo ed il conformismo della massa, e che può aggregare le persone in vista del bene comune. Solo se le persone non sono da sole possono maturare nuovi stili di vita, con soluzioni alternative e creative, ispirate da un’etica della relazione, tradotte in atteggiamenti di sobrietà, coerenza e responsabilità. La finanza etica, il consumo critico, le energie a basso impatto ambientale, il software libero rappresentano alcuni scenari di un possibile impegno personale e comunitario. In questo senso, le varie forme aggregative ed associative sono sempre più chiamate a “fare rete”, facendo convergere esperienze e competenze diverse verso obiettivi comuni. Per sostenere questo impegno, sentiamo come particolarmente urgente l’esigenza di un nuovo slancio nel compito educativo, essendo la formazione di una coscienza critica il presupposto fondante di ogni opzione etica. Tra le scelte che come giovani siamo chiamati a compiere, quella della professione è sicuramente una delle più significative, poiché il lavoro deve poter essere l’ambito in cui la persona trova la sua piena dignità e realizzazione. È necessario che l’eticità del cittadino e la giustizia delle istituzioni siano complementari: chiediamo perciò alla politica a tutti i livelli – locale, nazionale e sovranazionale – di creare una cornice in cui tali scelte siano effettivamente realizzabili.


Ridare speranza
La crisi, nonostante tutto, non è senza via d’uscita. Questa non risiede soltanto nelle ricette economiche: l’alternativa al vuoto e alla paura, è la fiducia nell’uomo, che genera speranza. L’uomo è il vero capitale su cui investire, essendo «l’autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale» (GS n° 63). È a partire da esso, e dalla sua capacità di intessere relazioni positive e significative con i suoi simili, che si può ricostituire una dinamica di sviluppo autentico. Dobbiamo combattere la tentazione della rassegnazione, che ci colpisce quando ci sentiamo impotenti, spettatori inermi di eventi più grandi di noi. Bisogna saper assumere il coraggio della speranza, che rende capaci di affrontare ostacoli e difficoltà. Se ogni uomo è pronto a rivedere le proprie scelte di vita alla luce della fraternità e del bene comune, della sobrietà e della condivisione, possiamo costruire un futuro più umano. Noi cristiani sappiamo che tale speranza non è vana, perché la possibilità di questa nuova umanità è già stata inaugurata dall’amore di Dio manifestato in Gesù Cristo. «Solo se pensiamo di essere chiamati in quanto singoli e in quanto comunità a far parte della famiglia di Dio come suoi figli, saremo anche capaci di produrre un nuovo pensiero e di esprimere nuove energie a servizio di un vero umanesimo integrale» (CV n° 78).

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