mercoledì 27 aprile 2011

Strada verso l'altro

Appunti dell’incontro culturale del 08-04-11 tenuto da Monica Guida

Monica Guida laureata in Antropologia Culturale presso l’Università Statale di Bologna vuole intitolare quest’incontro “Strada verso l’altro”.

La passione che nutre per la ‘sua disciplina’ è in primo luogo il semplice ma felice frutto di una fantasia d’infanzia, ovvero il sogno di essere rapita da una tribù di indiani Cheyenne con la ‘missione’ di liberare una comunità imprigionata in riserva.

Racconta inoltre che uno dei passatempi preferiti di quando era bambina era l’avventura del “forno”, un gioco inventato da lei e dai suoi cugini: un “cacciatore cannibale” doveva ogni giorno catturare l’”avventuriero della foresta”, legarlo con una fune, trascinarlo all’accampamento, cucinarlo nel forno (spazio che veniva ricavato tra un divano e l’altro) e mangiarlo. Nella notte, avveniva poi un fatto inquietante: il “fantasma dell’avventuriero” veniva a far visita al “cacciatore cannibale” per terrorizzarlo e ‘segnarlo con impressione’ del gesto che aveva compiuto.

Per Monica usare la fantasia – tatto dell’interiorità - significa cercare di rendere concrete idee che di primo acchito potrebbero sembrare molto astratte; fantasia significa l’aprirsi di una via relazionale, di un modo per educare e vivere la sensibilità.

La nostra compagna ci spiega che l’incontro con l’altro può causare due stati d’animo tra loro opposti ma coesistenti: la passione e l’inquietudine per la sua presenza accanto/insieme alla nostra. Narra inoltre che ci sarebbe un ciclo di apprendimento che ci spinge verso l’alterità di ogni conoscenza, un senso circolare, composto da quattro fasi:

  • La percezione: ossia accorgersi della presenza dell’altro.

  • L’estasi: la curiosità che provoca l’altro.

  • L’assimilazione: il “nutrirsi” dell’altro.

  • L’introspezione: il tormento che può generare l’altro.

Per quanto riguarda lavita dell’uomo in società, si può affermare che l’antropologia nelle sue vesti etnografiche nasce intorno al periodo dell’Illuminismo come disciplina scientifica il cui scopo è studiare comunità diverse situate in luoghi lontani – spesso e volentieri fraintesi come remoti - da quelli di origine. L’affermarsi della disciplina e del progetto di ricerca avviene nel periodo del Colonialismo dal momento che appare manifesto quanto si voglia conoscere l’altro classificarlo, per ‘averlo’ e dominarlo…magari a disatanza!

Nei primi del ‘900, uno studioso polacco, Malinowski, scopre per primo cosa significa fare “ricerca di campo” avendo come obiettivo la conoscenza l’altro. Viene fatta una monografia su un determinato popolo, ed è come se da quel momento venissero poste una serie di etichette, di conoscenze informative sulla tal popolazione: una sorta di collazione di ‘istruzioni per l’uso’. Quando negli anni ’60 viene rinvenuto e pubblicato il Giornale intimo di Malinowski” appare per la prima volta manifesto un fatto sbalorditivo: fino a quel momento l’antropologo fondatore della ricerca di campo e del metodo dell’osservazione partecipante non aveva mai trascritto e pubblicato nelle sue monografie i suoi appunti intimi, il vissuto delle sue appassionate e scomode digressioni di campo.

Dunque, come rendere conto attraverso la pubblicazione di un testo, di una testimonianza della presenza attiva alterante dell’altro?

Nel 1955, uno dei maggiori esponenti dell’antropologia, Claude Levi Strauss, scrive “Tristi Tropici” dove afferma che, quasi per paradosso, l’andare lontano per conoscere l’altro da noi può far scaturire un bisogno, una necessità: quella di tornare a fare i conti con le proprie radici, ‘alterità’ rimosse in noi che l’incontro con l’altro di un Paese lontano può improvvisamente mettere a nudo.

A partire da tali squarci di riflessione negli anni ’80, con la corrente del Postmoderno, cambia il modo di approcciarsi all’altro e subentra un clima di crisi diffusa, poiché si riconosce la relatività del proprio mondo rispetto agli altri e si prende coscienza dell’effettivo potenziale - creativo e bruciante - messo in gioco dall’incontro, dal tentativo di condividere il medesimo ‘campo’ (politico, culturale, sociale…) tra altri, tra diversi.

Oggi più che mai l’incontro con l’altro continua a rivelarsi strada, direzione, modo per lasciarsi appassionare e inquietare… L’incontro verso l’altro pone di fronte a molteplici bivi: una scelta grande, positiva anche se difficile e colma di ostacoli, di tranelli potrebbe essere quella di abbandonare un’ottica di tipo ‘informativa’ per tentare invece di intraprendere la ben diversa via della comunicazione. Ecco il valore delle storie di vita, del lasciarsi interpellare, chiamar fuori - sulla soglia - dalla storia di vita di un altro, di uno straniero di casa nostra.

Inoltre, un varco importante aperto dalla scoperta dell’altro, dalla via della comunicazione è l’edificazione dell’accoglienza, stile di vita che sarebbe banale pretendere di avere in partenza ma che al contrario si acquisisce dando spazio all’inatteso senza imporsi, senza depurare, senza voler addomesticare le parti ‘indigeste’ dell’altro a tutti i costi. La strada verso l’altro si costruisce dunque ‘progettando’ e ‘concretando’ accoglienza. E ogni accoglienza rivelata, ovvero vissuta pienamente come tale per l’uno e per l’altro, non può che mirare con desiderio alla contaminazione rigenerante delle vita coinvolte.

Caterina Pezzoni

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