sabato 19 novembre 2011

1° TEOLOGICO: “Biografie e teologia” - S. GREGORIO MAGNO PAPA E DOTTORE DELLA CHIESA

Appunti dell'incontro Teologico del 21/10/2011 con Don Cesare Pagazzi

Nella vita di ciascuno di noi, Dio fa sentire la sua voce (Rivelazione)e bisogna imparare a cogliere quello che Dio ci vuole dire mediante la sua Parola.

Così è avvenuto anche per i Santi.

La parola “Santo” deriva dalla parola ebraica quadosh” che significa “separato”/” diverso”; è colui che ha uno stile che lo distingue dagli altri (es. Dio è Santo perché si distingue dagli altri dei. Dio ama le sue creature a differenza del dio degli assiro babilonesi).

Diventare Santi è compito di tutti, significa onorare la capacità artistica di Dio che ha posto in noi. Il Santo ha vissuto e ha appreso l’arte di Dio.

Dedichiamo quest’incontro alla figura di San Gregorio Magno Papa e Dottore della Chiesa .

Il quale fu un uomo diplomatico, capace di rientrare in se stesso e che sapeva mediare (l’arte di saper reggere i conflitti senza chiudere i rapporti mantenendo i legami).

Gregorio Magno nacque a Roma nel 540 da una famiglia nobile patrizia. All’età di 25 anni diventa prefetto di Roma, attività che lasciò a breve per entrare in un monastero benedettino, situato sul Colle Celio (tuttora esistente). Rimase per qualche anno ed apprese l’arte dellinteriorità (l’arte di saper abitare se stesso).

Anche Gesù ci dà dei consigli su come abitare noi stessi mediante:

  • La frase “Ama il tuo prossimo tuo come te stesso” (Mt 19,16-19): prima di “amare gli altri” bisogna “amare” se stessi (imparando a rientrare in se stessi).

  • La parabola del “Figliol Prodigo” ( Lc 15, 11-32): il figlio dopo aver sperperato le ricchezze del padre “rientra in se stesso” attraverso il bisogno della fame ( Lc 15,17-18: “17Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te…”).

Gregorio Magno fu costretto a lasciare il monastero perché fu chiamato da da Papa Pelagio II che lo inviò come suo rappresentante alla corte di Costantinopoli, compito che svolse per sei anni.

Dopo questi sei anni, Gregorio Magno torna a Roma e viene eletto papa in quanto Papa Pelagio II muore.
Roma era ormai entrata in decadenza (il centro politico dell’impero romano era a Costantinopoli), era una città di periferia, devastata dalla peste, percossa dalle tasse dell’impero, soggetta ad alluvioni ed invasa dalle popolazioni dei Visigoti e dei Longobardi.

Gregorio Magno si sente legato alla società romana logorata da questi fattori e attua dei provvedimenti per risanarla a livello sociale e politico. E’ un Papa che sta in mezzo alla gente, un “uomo di trincea” che sa conservare la propria interiorità nonostante le vicissitudini che colpiscono Roma.

Gregorio riorganizzò a fondo la liturgia romana, ordinando le fonti liturgiche anteriori e componendo nuovi testi, e promosse quel canto tipicamente liturgico che dal suo nome si chiama «gregoriano».

Gregorio Magno scrisse numerose opere, ne ricordiamo due:

  • La vita di San Benedetto: Gregorio Magno era molto legato alla figura di San Benedetto da Norcia (vissuto cento anni prima di lui) e quest’opera è un segno di gratitudine per il fondatore dell’ordine di cui ha fatto parte.

  • La regola pastorale: la scrive non solo per il clero ma anche per le persone con responsabilità pastorali. Infatti il termine “pastorale” deriva da “pastore” che è colui che dà pasto, che si occupa delle persone che gli sono state affidate. Gregorio in quest’opera vuole dire che per fare bene il pastore ci vuole una regola.

Muore a Roma nel 604 all’età di sessantaquattro anni con una vita compiuta, da protagonista.

Gregorio Magno Papa e Dottore della Chiesa viene festeggiato il 3 settembre e la liturgia delle ore indica il testo “Le omelie su Ezechiele” che riporto di seguito:


Dalle «Omelie su Ezechiele» di san Gregorio Magno, papa

(Lib. 1, 11, 4-6; CCL 142, 170-172)


«Figlio dell'uomo, ti ho posto per sentinella alla casa d'Israele» (Ez 3, 16).

E' da notare che quando il Signore manda uno a predicare, lo chiama col nome di sentinella.

La sentinella infatti sta sempre su un luogo elevato, per poter scorgere da lontano qualunque cosa stia per accadere.

Chiunque è posto come sentinella del popolo deve stare in alto con la sua vita, per poter giovare con la sua preveggenza.
Come mi suonano dure queste parole che dico! Così parlando, ferisco me stesso, poiché né la mia lingua esercita come si conviene la predicazione, né la mia vita segue la lingua, anche quando questa fa quello che può.
Ora io non nego di essere colpevole, e vedo la mia lentezza e negligenza. Forse lo stesso riconoscimento della mia colpa mi otterrà perdono presso il giudice pietoso.
Certo, quando mi trovavo in monastero ero in grado di trattenere la lingua dalla parole inutili, e di tenere occupata la mente in uno stato quasi continuo di profonda orazione. Ma da quando ho sottoposto le spalle al peso dell'ufficio pastorale, l'animo non può più raccogliersi con assiduità in se stesso, perché è diviso tra molte faccende.
Sono costretto a trattare ora le questioni delle chiese, ora dei monasteri, spesso a esaminare la vita e le azioni dei singoli; ora ad interessarmi di faccende private dei cittadini; ora a gemere sotto le spade irrompenti dei barbari e a temere i lupi che insidiano il gregge affidatomi.
Ora debbo darmi pensiero di cose materiali, perché non manchino opportuni aiuti a tutti coloro che la regola della disciplina tiene vincolati. A volte debbo sopportare con animo imperturbato certi predoni, altre volte affrontarli, cercando tuttavia di conservare la carità.
Quando dunque la mente divisa e dilaniata si porta a considerare una mole così grande e così vasta di questioni, come potrebbe rientrare in se stessa, per dedicarsi tutta alla predicazione e non allontanarsi dal ministero della parola?
Siccome poi per necessità di ufficio debbo trattare con uomini del mondo, talvolta non bado a tenere a freno la lingua. Se infatti mi tengo nel costante rigore della vigilanza su me stesso, so che i più deboli mi sfuggono e non riuscirò mai a portarli dove io desidero. Per questo succede che molte volte sto ad ascoltare pazientemente le loro parole inutili. E poiché anch'io sono debole, trascinato un poco in discorsi vani, finisco per parlare volentieri di ciò che avevo cominciato ad ascoltare contro voglia, e di starmene piacevolmente a giacere dove mi rincresceva di cadere.
Che razza di sentinella sono dunque io, che invece di stare sulla montagna a lavorare, giaccio ancora nella valle della debolezza?
Però il creatore e redentore del genere umano ha la capacità di donare a me indegno l'elevatezza della vita e l'efficienza della lingua, perché, per suo amore, non risparmio me stesso nel parlare di lui.

Curiosità:
Lo scrittore tedesco Thomas Mann dedica una leggenda alla figura di Gregorio
Magno nel suo romanzo "L'eletto".


Caterina Pezzoni

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